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DI Maurizio Mamoli
Se avete a disposizione l’appartamento della zia, magari in centro e al rialzato, da adibire a ufficio, o avete una casa con doppio ingresso e che consente di ritagliare un bello studio, forse questa riflessione non fa per voi.
O forse anche sì, perché in fondo sono molte cose che non vengono prese in conto sin dall’inizio anche in questi casi fortunati; cose che contano per un professionista: dalla qualità delle dotazioni tecnologiche alla percezione che si trasmette alla clientela, al rischio (sottile) dell’isolamento e di essere troppo spesso in ciabatte, mischiando un po’ troppo feeling domestico e professionale, e così via.
E poi ci sono i casi più numeroso e normali, quelli dei tanti professionisti che affittano piccoli uffici, condividono spazi d’ufficio di terzi o lavorano da postazioni domestiche. Conviene ancora?
Non c’è una risposta assoluta, ma una riflessione è d’obbligo, perché i termini della scelta del luogo di lavoro sono cambiati radicalmente grazie al coworking e ai centri che permettono di praticarlo. Quella che fino a due o tre anni fa era una formula buona solo per startup tecnologiche e giovanilistiche si è venuta diversificare per tipologia e formule di servizio.
Oggi i coworking vengono pensati per offrire ambienti di lavoro adeguati alle più diverse figure professionali – dai consulenti d’impresa ai promotori finanziari, agli specialisti di marketing e comunicazione - alle piccole aziende del terziario operanti nei più diversi ambiti: informatica, e-commerce, pubblicità e new media, intermediazione commerciale e così via. I coworking oggi non sono pensati per offrire cartoline buone solo per i media.
Nascono e si sviluppano offrendo ambienti di lavoro che tengono in conto requirement oramai comuni a tutte le attività: spazi giusti e di immagine, flessibilizzazione dei costi, servizi, relazioni, possibilità di collaborare.
Intendiamoci, qui si parla di veri luoghi di coworking, non di internet café o day office; non di strutture per sedersi per due ore fruendo di wi-fi o per avere una postazione per i tre giorni di una fiera, che hanno un loro senso, ma che sono altra cosa.
Qui parliamo di location di coworking con spazi o uffici assegnati in esclusiva per periodi che vanno dal mese all’anno, e che consentono di avere una vera sede operativa (anche legale) in una “piazza” viva per intrecci professionali, iniziative condivise di formazione, aggiornamento, promozione.
Sempre con tutta la flessibilità possibile in termini di impegni temporali e di scalabilità degli spazi fruiti: un minimo di preavviso e si può andare altrove. Servono due postazioni in più perché si cresce? Si prendono. E dopo, se non servono più, si lasciano, sempre e solo con un minimo di preavviso. E questo vale a maggior ragione per i picchi di lavoro che richiedono più posti di lavoro aggiuntivi per periodi saltuari.
Ma veniamo al nostro computo Lo faremo per due casi tipo: il singolo professionista che lavora da casa, e una piccola impresa o startup con un organico di 3 persone.
Nel primo caso ci possiamo mettere nei panni di un organizzatore di eventi, di un consulente aziendale o di un agente di commercio. Persone che girano sui clienti, ma che devono avere comunque una base d’appoggio di immagine, con funzionalità di comunicazione evolute, un recapito certo, accesso a sale riunioni attrezzate e così via. Costoro, di solito, o condividono l’affitto di un piccolo ufficio con altri, impegnandosi per un anno o più lavorano da casa.
Nel primo caso finiscono, se in ambito metropolitano e non fra i lupi, per spendere dai 2500 ai 5000 l’anno – a seconda che lo spazio sia condiviso o no con altri e del concorso alle spese per servizi accessori (pulizie, connettività, ecc).
Non è tanto, ma spesso non dispongono di una sala riunione degna di questo nome; per rilassarsi o mangiare un boccone per almeno 10 giorni-mese (gli altri sono in giro) sborsano dai 100 ai 200 euro in più al mese rispetto all’uso di una kitchenette interna, e, last-but-not-least vedono sempre le stesse quattro facce. Nel coworking avrebbero ben di più.
Infatti, se il sito di coworking è di buon livello (non di quelli che mettono la gente come polli in batteria), hanno una postazione completa di lavoro in open space intimizzato, spaziosa e con arredi di standing, accessibile 24h24 e sette giorni su sette, l’uso della sala riunione con tutte le apparecchiature del caso senza alcun sovrapprezzo per due mezze giornate (e pay solo quelle in più), accesso libero alle zone di relax e alla kitchenette, dove possono consumare i pasti facendo anche quattro chiacchiere; e poi, ancora, stare a contatto con molte più persone di loro interesse personale e professionale (c’è chi trova partener e fornitori) e condividere iniziative di animazione, aggiornamento e promozione.
A quanto? Dipende da dove si è, ma si va dai 2400 ai 3600 euro l’anno (singolo), tutto compreso, con la possibilità di recedere da un mese sull’altro e di sentirsi sempre liberi, in luogo ove si sta meglio e ove a ricevere clienti e partner si fa sempre bella figura.
Nel secondo caso, quello della microimpresa o della startup, il coworking presenta vantaggi ancora più netti. Infatti, se pensiamo a un entità di 3/4 persone, è normale riferirsi a un piccolo ufficio tra i 50 e i 60 metri quadri.
Se escludiamo le location poco conciliabili con un’attività professionale - come “uffici” allocati in edifici residenziali con effluvi di cucina, schiamazzi e vista su terrazzini con gente in vestaglia e panni stesi – ecco che il solo canone in una zona decorosa e servita dai mezzi pubblici (non certo in centro storico) va dagli 8000 ai 12000 euro l’anno, a seconda che si sia in una grande città o in un capoluogo di provincia, cui però vanno poi aggiunti 1500 per spese condominiali, altri 5000-6000 per riscaldamento, assicurazioni, pulizie (non in nero) e utenze e ancora 500-1000 di ammortamenti per mobili se non si va nel lusso, e questo senza ancora gli oneri per macchine che non possono mancare in un piccolo ufficio.
E anche qui per omogeneità del confronto con il coworking, non si contano i pc. Facendo così si fa presto ad arrivare a 15000- 21000 euro l’anno per avere, spendendo molto di più e impegnandosi rigidamente per anni, molto meno di quanto si può avere in un coworking.
Nei coworking più evoluti, quelle 3 o 4 persone possono avere uno spazio chiuso dedicato di standing per 8000-9000 euro l’anno tutto compreso, senza dover pensare a pulizie utenze, assicurazioni, portiere che non ritira i pacchi, al nolo e alla manutenzione di stampanti e dispostivi di rete; e ancora disponendo di tutte i servizi già citati prima nel caso trattato per il singolo professionista, dalla disponibilità di sale riunione vere con schermi da 60” alla kitchenette, alla zona relax e così via.
E se le cose vanno bene e serve spazio per una persona in più, si prende una postazione aggiuntiva in open space, in adiacenza agli spazi già occupati; e se invece bisogna stringere i denti, preparare tempi migliori e si resta in due, si molla con un mese di preavviso l’ufficio chiuso e ci si trasferisce in postazioni open space per una spesa che cala a 5000-6000 l’anno (due persone) a seconda dei casi, senza il trauma e il disagio, anche di immagine, dello spostamento.
Sono solo due casi tipo, ma se ne potrebbero fare tanti altri. E non certo solo a Miano o Roma, perché i centri di coworking, quanto meno nel Nord Italia, ora sono dappertutto, e sempre più anche in provincia. Poi si sa, ogni caso è un po’ a sé. Non vi resta che fare due conti anche voi, andando a vedere cosa danno e cosa fanno i coworking a voi più vicini.
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